Diventare madri non è mai semplice, ma ci sono delle neo-mamme che si trovano in diverse difficoltà e sono costrette a dire via i loro bambini. Non sono poche, purtroppo, quelle che abbandonano i figli nei posti peggiori (come i cassonetti), ma la legge offre una possibile soluzione: il parto in anonimato. Ma cos’è? Come funziona?
L’abbandono dei neonati
Secondo delle statistiche, in Italia vengono abbandonati circa 3000 bambini all’anno, e di questi solo quattrocento si riescono a salvare perché affidati ad ospedali o ad altre strutture. Di casi se ne possono trovare diversi sui canali di cronaca, come quello di un bambino trovato da un netturbino nel 2017 a Torino, che non ce l’ha fatta, per vie delle ferite, in quanto la madre lo aveva gettato da un balcone. Per questo la legge permette il parto in anonimato, che consente di lasciare i piccoli nelle strutture sanitarie.
Ma perché le donne non si avvalgono di tale diritto? Generalmente, è perché non sono informate, e quindi non sanno che possono farlo. Alcune di queste madri, poi, i figli non li vogliono, per diversi motivi, soprattutto perché non possono permettersi le spese della maternità, ed altre volte alcune non si accorgono di essere incinte fino a che non è troppo tardi (alcune se ne accorgono solo al momento del parto).
Proprio per rimediare a tale disinformazioni, nascono associazioni e progetti per supportare le madri in difficoltà. Uno di questi è il progetto Nursery, avviato a Roma nel 2014, ideato dall’associazione Salvamamme, il cui scopo è di fornire alle donne e ai loro figli, al di sotto di un anno, beni essenziali sia per la gravidanza che per la vita quotidiana, ed ovviamente vengono forniti loro informazioni su possibili aiuto ed il parto in anonimato.
Come funziona il parto in anonimato
Tramite il parto in anonimato, regolarizzato dall’articolo 30 comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica 396 del 2000, le neo-mamme, al momento del parto, possono essere informate all’ospedale di affidare allo stato il bambino, senza che il loro nome trapeli.
In questo modo, il neonato può venire adottato in maniera pienamente legale. In caso di ripensamenti, la madre ha un lasso di tempo pari a due mesi, ma in caso che essa abbia un’età inferiore ai sedici anni, per avviare i processi di adozione bisogna aspettare che la madre raggiunga tale età. I padri biologici, in questo caso, non possono effettuare il riconoscimento.
Se si partorisce in casa, il bambino può essere portato presso delle “culle speciali” che si trovano presso ospedali o chiese (una sorta di moderna “Ruota degli Esposti”). L’ubicazione di queste culle si può trovare sul sito ufficiale di “Culle per la vita”, dove vi è una sezione in cui trovare gli indirizzi, oppure si può chiamare un numero verde.